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26/10/2010
La nuova cultura della gestione dei conflitti nella società globalizzata
F.P. Provincia Autonoma di Bolzano
Sabato 13 Novembre ore 9.00
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26/10/2010
Intervista a Davide Berruti
"Telegrammi", numero 348 del 19 ottobre
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26/10/2010
Teaching mediation. EUTOPIA-MT: conflict management through digital worlds
The new book about EUTOPIA-MT project
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08/09/2010
Ora basta !!!
Laboratorio sulla gestione costruttiva
dei conflitti e delle relazioni di R. Tecchio
Roma, a partire da Ottobre 2010
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31/08/2010
Call for students at University of Trieste
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La cooperazione
fra civili e militari
Rapporto utile o contraddizione?
di Camilla Notarbartolo
allieva del Master "Mediatori dei conflitti/Operatori di pace internazionali"
 
Nell'ambito della prevenzione, gestione e trasformazione dei conflitti internazionali, due culture estremamente diverse si trovano sempre più spesso a operare a stretto contatto l'una con l'altra: da un lato, i militari - armati, subordinati alle direttive del proprio Ministero della Difesa, con ordini gerarchici da rispettare -, dall'altro i civili - in larga parte nonviolenti, mossi da ragioni di ordine umanitario, presenti nei cosiddetti "teatri operativi" per loro volontà.
 
È proprio nell'ottica di un maggiore dialogo tra queste due "culture" che il Master, in collaborazione con il Comando Truppe Alpine, ha scelto di promuovere per il terzo anno consecutivo l'incontro tra civili e militari nell'ambito dell'esercitazione "Wild Horse III", svoltasi dal 2 al 4 aprile 2007 nell'area addestrativa San Giorgio a Brunico.
Nell'area San Giorgio si svolgono attività di addestramento per il combattimento. La domanda sorge allora spontanea: cosa ci fa un nonviolento in un luogo dove si apprendono tecniche avanzate di guerra? Cosa può imparare, all'interno di un'area di addestramento militare, un civile che si appresti a diventare operatore di pace? Sapere quello che i militari fanno, conoscere le loro procedure, può tornare utile a un civile che si trova ad operare sul campo, così come è importante che un civile conosca le misure di base per la propria incolumità. L'esercitazione "Wild Horse" è dunque funzionale a due aspetti chiave nell'ambito della cooperazione civile militare: quello della reciproca conoscenza e quello della sicurezza.
Durante la parte teorica dell'esercitazione, l'"indottrinamento", come viene definito nel gergo militare, veniamo istruiti su vari aspetti della presenza sul campo: equipaggiamento e materiali, topografia e orientamento, norme igienico-sanitarie in aree a rischio, comportamento in presenza di mine antiuomo. In particolare, ci vengono spiegate le attività della cellula S5, quella responsabile della cooperazione fra civili e militari. È a questa cellula che i civili fanno riferimento per chiedere protezione, reperire informazioni sulla sicurezza, coordinare operazioni di emergenza e ricostruzione.
Il settore in cui si realizza con maggior frequenza una cooperazione tra civili e militari è quello della distribuzione di aiuti umanitari. Ma se è vero che tali aiuti hanno un impatto immediato sulla popolazione, essi possono generare effetti collaterali come ad esempio i furti che vanno ad alimentare il mercato nero. Accanto all'aiuto di emergenza è necessario dunque avviare progetti più a lungo termine.
La simulazione
La parte più importante dell'esercitazione è stata infatti una simulazione pratica, la "messa in scena" di una situazione reale che comprendeva una trattativa con un capo villaggio di una zona a rischio, una scorta convogli umanitari e la distribuzione di aiuti umanitari.
La simulazione è svolta da vari gruppi in maniera separata e ha nella maggior parte dei casi risultati disastrosi, con minacce subite e operatori cacciati a suon di kalashnikov. Ma soprattutto grazie alla riflessione moderata dal nostro mentore Davide Berruti (Centro Studi Difesa Civile), riusciamo a carpirne la grandissima utilità. Apprendiamo che vi sono alcuni elementi da non sottovalutare quando si opera in una zona a rischio: il vestiario, per esempio, che va scelto con particolare riguardo verso fattori culturali, economici e politici (attenzione ai colori a sfondo politico!), oppure l'atteggiamento da assumere nel caso di dinamiche quali il ricatto, la minaccia, il taglieggiamento - non bisogna rimanere preda di irrigidimento, sottomissione, tensione o paura, bensì stare calmi, non subire, essere assertivi. L'assertività, ovvero il manifestare con fermezza, ma senza aggressività, la propria volontà, è uno degli strumenti chiave nell'ambito della nonviolenza. Per esempio, durante la simulazione nessuno di noi ha notato che il capo villaggio con cui ci accingevamo a trattare, oltre ad avere atteggiamenti intimidatori nei nostri confronti, aveva un fucile appoggiato al muro. Come operatori di pace non bisogna tralasciare un particolare come questo, iniziando, se possibile, un dialogo rispetto al tema della violenza. Una delle strategie possibili è quella di chiedere ai capi villaggio, in cambio di un aiuto umanitario, la garanzia che cessino gli episodi di violenza nei territori di loro influenza.
Utilità dell'esercitazione
In chiusura dei tre giorni, chiedo al Capitano Christian Ingala e al Colonnello Ferraris di esprimere un commento sull'utilità dell'esercitazione. Ingala sostiene che per un militare questa esperienza può essere funzionale a "individuare le tipologie degli operatori civili in teatro di operazioni e per scambiare informazioni su come operare in scenari difficili". "Per voi civili", continua, "oltre a fornire una panoramica sui rischi in cui si può incorrere e a dare delle indicazioni su come comportarsi per non mettere a repentaglio la sicurezza altrui e la propria, essa può costituire un utile spunto di riflessione". Ingala ci ricorda che "i momenti più pericolosi sono quelli dell'arrivo su teatro di operazioni - perché non si conosce il pericolo - e quello che precede la partenza - perché si è troppo rilassati". Nei Master c'è il pericolo di fare troppa teoria, osserva il Colonnello Ferraris consigliando di "inserire nel corso di studi più attività pratiche, come il primo soccorso e prove di orientamento sul terreno". Ci tranquillizza invece rispetto alla nostra cattiva riuscita durante la simulazione: "Fallire, in fase addestrativa, non è un fallimento, anzi, dal mio punto di vista (istituzionale) è proprio in fase di addestramento che ci si può permettere di sbagliare. Così non si rischia di ripetere gli stessi errori nelle fasi operative".
Tirando le somme, ci sentiamo di dire che l'esperienza vissuta tra i militari del 6° Reggimento Alpini è stata molto positiva e può, come auspicato dal Cap. Ingala, servire da spunto per svariate riflessioni. Durante il suo intervento, il Generale di Divisione Alberto Primicerj ci ha rivolto un invito: "Chiedete, dialogate con noi, e ne trarremo vantaggio reciproco. Noi non vi chiediamo di cambiare mentalità, ma vi ricordiamo di essere attivi e critici". Premesso che - civili o militari - siamo tutti esseri umani, essere critici significa anche avere sempre presente che "le missioni di peacekeeping affidate alla forza militare rischiano di servire innanzitutto agli interessi delle superpotenze; e minacciano di isolare, sfruttare, dominare le nazioni più piccole e deboli, particolarmente nel Terzo Mondo" (Walker, 1971); significa ricordare che le misure militari coercitive "cagionano enormi distruzioni" e "normalmente non rendono più facile, ma più difficile la ricerca di una soluzione politica"; significa non dimenticare mai che gli interventi senza un mandato delle Nazioni Unite da parte di USA o NATO portano a un indebolimento "dei meccanismi di risoluzione dei conflitti da parte delle istituzioni statali nazionali e del diritto internazionale", che "la preparazione e il sostegno politico e propagandistico alle misure militari coercitive hanno come conseguenza sviluppi preoccupanti per la democrazia" e che "i costi sociali degli armamenti e delle misure militari coercitive sono enormi" (Truger, 2003). Anche noi chiediamo ai militari di essere critici, oltre che attivi, e magari - visto il grande valore umano constatato durante i tre giorni passati insieme, di fare un salto e passare dall'altra parte, valorizzando le loro competenze in ambito civile. La nostra speranza è che in futuro le missioni di pace prevedano un sempre minore impiego di militari a vantaggio di "un sistema di difesa nonviolento, alternativo all'esercito" (Pignatti Morano, 2005).

 

Bibliografia:

  • Pignatti Morano, Martina (2005) - Presentazione: Il realismo della nonviolenza. In: Il peace-keeping non armato. - A cura di Pignatti Morano, Martina - Quaderni Satyagraha, numero 7, giugno 2005. Pisa, Libreria Editrice Fiorentina.
  • Truger, Arno (2003) - La sfida dell'intervento civile nelle crisi. In: Pacifismo e nonviolenza. - A cura di Altieri, Rocco - Quaderni Satyagraha, numero 4, dicembre 2003. Pisa, Centro Gandhi / Edizioni Plus.
  • Walker, C.C. (1971) - Peacekeeping: A Survey and an Evaluation. In: Bloomfield. The Power to Keep Peace: Today in a World Without War. - Berkeley, World Without War Council, pagina 234.
 
Si ringrazia l'associazione OEW - Organisation für Eine solidarische Welt/ Organizzazione per un mondo solidale per la cortese concessione dell'articolo
 

 
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